La donna accabadora

Oggi si parlerà di un argomento macabro e dai risvolti tutt’altro che felici che potrebbero richiamare l’attenzione di molti “moralisti”.
Della donna sarda tanto se ne parla e tanto se ne sente parlare ma ogni volta che la si pensa vengono solo in mente persone come la Elisabetta Canalis o Melissa Satta, giusto per nominarne qualcuna, quando in verità la donna sarda è ben altro ed essendo quella della Sardegna una cultura matriarcale, storicamente la donna ha avuto un ruolo molto importante spesso fondamentale.
Oltre a fare la massaia era quella che si occupava dell’ambito “finanziario” famigliare ed era rispettata a tal punto che molte faide (dovute a vendette) iniziavano perchè la donna esigeva vendetta ma non solo, a lei venne affidato un ruolo dallo scopo oscuro … procurare la morte a persone in agonia.
Prendeva il nome di “S’accabadora” e se la si vedeva entrare all’interno di un abitazione voleva dire solo qualcosa: qualcuno stava per morire.

Il termine “accabadora“, che letteralmente vuol dire “colei che finisce”, deriva dal sardo “s’acabbu” che voleva dire, appunto, “la fine”.

Di questi giorni si sente spesso parlare di eutanasia, un argomento molto delicato che ha fatto sorgere non poche polemiche e discussioni di ogni genere, ma questa era un pratica che in Sardegna veniva attuata fino a qualche decennio fa. Nonostante questa potrebbe risultare il racconto di una qualche figura immaginaria è accertato, grazie a studi approfonditi e analisi di documenti trovati presso curie, diocesi e musei sardi, che questo personaggio sia realmente esistito.
Questa figura, generalmente, veniva chiamata nei piccoli paesi in cui il medico più vicino distava molti giorni a cavallo e i famigliari del moribondo, per non farlo ulteriormente soffrire, preferivano fargli infliggere il colpo finale.
Nonostante l’atto pietoso, S’accabadora agiva “rispettosamente” nei confronti del moribondo.
Arrivava nella casa del malato sempre di notte, interamente vestita di nero e con il volto coperto, e, una volta fatti uscire tutti i familiari che l’avevano chiamata, entrava nella camera della morte e, alla sua vista, il moribondo capiva che le sue sofferenze stavano per volgere al termine.

Per consumare l’atto, S’accabadora lo soffocava con un cuscino oppure gli assestava un colpo diretto alla fronte con “su mazzolu” (un bastone d’olivo lungo 40 cm e largo 20, con un manico che ne permetteva un’impugnatura sicura e precisa) e, una volta finito, usciva dalla stanza in punta di piedi quasi come per paura di disturbare la morte del povero malcapitato o come se avesse compiuto una missione.

Luras2011_080

Nonostante lo scopo funesto di questa donna i familiari nutrivano grande gratitudine nei suoi confronti e, per ringraziarla, le offrivano i prodotti che la terra donava.

Ovviamente è una pratica che è stata archiviata tanti anni fa e che, stranamente, è stata affidata alla donna e penso che questa sia una forte dimostrazione di come lei avesse un carattere molto più forte rispetto all’uomo.

I posti in cui S’accabadora ha agito maggiormente riguardano la parte centro-settentrionale della Sardegna e gli ultimi episodi noti avvennero a Luras (paese in cui è ubicato il museo che ne testimonia le gesta: Museo Galluras) nel 1929 e ad Orgosolo nel 1952.

A Luras si creò una situazione particolare perchè venne condannata per aver ucciso un uomo di 70 anni, ma il caso venne archiviato perchè i carabinieri, il Procuratorio del regno di Tempio-Pausania e la Chiesa furono concordi che si trattò di un gesto umanitario.

S’accabadora si faceva carico materialmente e moralmente di porre fine alle sofferenze del malato ma , nonostante il macabro scopo, la sua presenza era vista da tutti come una cosa assolutamente nomale.
Infatti così come era usuale che esistesse la “levatrice” (anche lei donna), lo era anche che ci fosse S’accabadora, un po’ come testimoniare con assoluta normalità il ciclo ineluttabile che ci trasporta nel tempo dalla vita alla morte.
Si pensa che “levatrice” e “accabadora” fossero la stessa persona e che il compito si distinguesse per il colore dell’abito: bianco o chiaro se doveva far nascere una vita, nero se doveva levarla.
Questa figura era molto importante nella quotidianità dei sardi ed è rimasta un simbolo nella storia sarda che ha condizionato, e non poco, il modo di affrontare la morte.
Si pensa che i sardi non avessero paura della morte ma affrontavano gli ultimi istanti della loro vita con serenità ed anzi, quando vedevano S’accabadora si rasserenavano sapendo che le loro sofferenza stavano volgendo al termine.

Conclusione

Anche questo simbolo, se così possiamo definirlo, molto conosciuto e rispettato in Sardegna fa parte di una della pagine di “Cronaca nera” della nostra isola, considerando però che definirla cronaca è un po’ riduttivo in quanto è sicuramente parte integrante della nostra cultura, testimonianza concreta nella vita sarda di tutti i giorni con i suoi problemi e gli affanni quotidiani, ma soprattutto del ruolo fondamentale della donna in tutto questo.

Vi lascio il link del Museo Galluras (il museo della femmina accabadora), vi basta cliccare qui e anche una testimonianza di chi ha avuto “il piacere” di vedere in azione S’accabadora cliccando qui.

19_big

Al prossimo articolo.

Licenza Creative Commons
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.