I suoni della Sardegna

Premessa

Nei primi mesi di apertura del blog ho, per così dire, “sfornato” diversi articoli con la speranza che da subito lo potessero rendere più sostanzioso e ricco nei contenuti, e al tempo stesso (almeno nelle mie intenzioni), piacevole e scorrevole nella lettura. Per questo ho pian piano allargato i miei orizzonti passando dagli “Itinerari”, ai “Cenni storici”, al “Diario di Gabob” fino ad arrivare alla “Cronaca nera”.

Rileggendo i primi articoli modificherei tantissime cose ma anche quelli servono a farmi capire in cosa devo cambiare e migliorare.

Spesso si parla della musica sarda, partendo dai suoi canti di compagnia, i cosiddetti “Trallallera”, passando per i suoni degli organetti e/o launeddas che accompagnano i balli sardi, fino ai suoni e testi più moderni e ricercati dei gruppi più conosciuti, cioè quelli dei Bertas, dei Tazenda, di Piero Marras, o ancora alle nuove sonorità, ricerche e sperimentazioni nel Jazz di Paolo Fresu, fino alle pietre suonanti di Pinuccio Sciola.

Buona lettura !

La musica sarda

La nostra storia comincia in quel lontano giorno in cui, secondo una leggenda, il Signore, prima di riposarsi dopo la gran fatica della Creazione, trovatosi un mucchio di pietre granitiche e basaltiche, le sparse sul mare che si stendeva solitario e splendente ad ovest del Tirreno.

Premette il piede calzato sui ruvidi sassi e, sollevandolo, guardò il segno; si compiacque dell’orma impressa, sorrise al risultato del suo estro e tra sé e sé disse: “La chiamerò Ihcnusa”.

A pensare che questo enorme “piede” è poco più grande di 24 mila kmq ma, in esso, sono racchiuse una miriade di tradizioni, costumi e culture forgiate da secoli di guerre da parte di invasori che vedevano in esso un grande potenziale.

Gli abitanti di questa antica Terra, oggi conosciuta come Sardegna, furono gli Ichnos.

Col passare dei secoli questo orgoglioso e forte popolo dovette affrontare mille avversità, che lo resero sempre più forte e capace di poter fronteggiare qualsiasi situazione e tra loro emerse una figura che fra tutti si distinse come: il Sardo.

Nonostante egli vivesse in un’isola che lo rendeva un tipo solitario, sopravvisse riuscendo a sfruttare tutto quello che la natura gli concedeva.

Culture che per anni hanno tentato di renderlo schiavo ebbero un forte impatto sulla sua “mente”, influenzandola e arricchendola di tesori, che gli permise di unire l’utile al dilettevole evolvendosi sempre di più.

Famosi sono i Nuraghi, le prime costruzioni in pietra, che permettevano al Sardo di avere un riparo dalle intemperie ed una difesa verso qualsiasi aggressore. Imparò ad allevare, pescare e cacciare e nonostante i suoi modi rudi e isolani egli maturò degli aspetti artistici unici nel suo genere: ad esempio ricavò la porpora e la utilizzò per ricamare i tappeti, apprese l’arte del cucire e l’abbinò a quella del ricamo, riuscendo a creare dei vestiti unici nel suo genere senza dimenticare la lavorazione della ceramica (oramai riconosciuta a livello nazionale).

Possiamo dire che il Sardo ha fatto dell’artigianato la sua punta di diamante, ma c’è un altra peculiarità che lo contraddistingueva da tutti: la musica.

Erano tempi lontani dalla tecnologia ed egli si dovette ingegnare, creando suoni senza nulla di particolare e complesso ma, semplicemente, utilizzando la sua voce, il suo corpo e quello che l’ambiente gli poteva dare.

Ovviamente gli hobby erano del tutto diversi da quelli dei nostri giorni, probabilmente anche più divertenti, ma nonostante ciò si trovava sempre il modo di passare le giornate in allegria: la musica divenne un utile strumento in più per divertirsi, ma anche per non annoiarsi e per accompagnare o solennizzare i momenti particolari della comunità: ad esempio i matrimoni o le funzioni religiose, le feste di paese e tutto ciò che poteva esser reso ancora più bello e particolare attraverso la musica stessa.

Forte del suo spirito goliardico, una delle prime melodie che il Sardo rese famose fu il “Trallallera”.

Alla fine di un pasto, durante il lavoro o in qualsiasi situazione che lo potesse permettere, egli intonava degli stornelli fatti per cantare tutti insieme sorridendo gioiosamente nel tentativo di creare sempre nuove rime comiche, che potessero stimolare e provocare ulteriori risate.

Questi stornelli venivano accompagnati con degli arnesi un po’ “particolari”: uno dei primi strumenti a percussione per eccellenza fu l’utilizzo del proprio corpo, infatti bastava battere le mani su di esso per ottenere dei suoni e il pestare un piede a terra o schioccare le dita divennero elementi aggiuntivi.

Pian piano si cominciò a sfruttare l’ambiente per creare i primi strumenti: l’utilizzo di un tronco vuoto d’albero divenne la base per il primo tamburo, i sonagli vennero ottenuti riempendo le zucche o altri frutti con semi o piccoli sassi mentre i primi flauti si ottennero svuotando le ossa più lunghe degli animali. Idee e materiali non mancavano e con il passare del tempo i “Trallalera” vennero accompagnati dal suono della “Ghiterra” unito ai cori di tutte le persone che volevano partecipare alla goliardia.

La musica divenne il mezzo più potente per esprimere se stessi e la propria identità, probabilmente gli stornelli esprimevano l’aspetto più semplice ed esteriore del Sardo ma, sia chiaro che non poteva questo essere l’unica espressione, infatti il panorama della nostra musica offre anche un livello ben più alto e maturo, che inevitabilmente comportò la necessità di andare alla ricerca di nuovi suoni e, per fare ciò, uno degli aspetti che andavano evoluti erano gli strumenti musicali. Si affinò così l’arte del legno e il Sardo si ingegnò nella costruzione di nuovi strumenti che gli  permisero di esprimere meglio, nelle melodie, le emozioni e i sentimenti che davano la possibilità di risaltare al meglio le celebrazioni e i momenti sociali più importanti.

Di origine incerta, uno dei primi strumenti che realizzò, furono le “Launeddas”, simile ad un flauto, composte da tre canne di cui la prima lunga e grossa che veniva chiamata “Tumbu” o “Basciu”, quella centrale detta “Mancosa Manna” mentre la terza, più corta e sottile, prendeva il nome di “Mancosedda”.

L’uso di questo strumento non fu per niente semplice; infatti, per poterlo suonare al meglio, il Sardo dovette apprendere la tecnica della respirazione circolare. Chiamata anche con il nome di tecnica a fiato continuo, è una particolare abilità che permette di suonare uno strumento a fiato, per l’intera durata di un brano musicale, senza che ci siano interruzioni nell’emissione del fiato, legate alla necessità di respirare.

La tecnica, in poche e forse troppo semplici parole, consiste nell’utilizzo della cavità orale come riserva d’aria, e mentre i vari muscoli facciali spingono con pressione l’aria nelle Launeddas contemporaneamente attraverso il naso si immette nuova aria da utilizzare in seguito.

Tutto ciò conferiva alla Launeddas quella particolarità la quale permetteva di produrre il suono che tanto assomigliava alle cornamuse Scozzesi.

Uno dei principali suonatori di questo strumento divenne Luigi Lai che apprese questo talento artistico dai Maestri Efisio Melis e Antonio Lara.

Le Launeddas furono il primo di una serie di strumenti che contraddistingueranno la musica sarda da tutte le altre: la “Trunfa”, la “Campanas”, il “Triangulu”, la “Trumbitta”, la “Serraggia” sono solo alcuni dei vari strumenti che il Sardo si ingegnò a creare.

Il mescolarsi di questi nuovi suoni permise al Sardo di creare nuove melodie e di poter passare ad un livello musicale superiore.

Un giorno, mentre passeggiava lungo la spiaggia, si sedette per un istante a riposarsi e ad ammirare quella meravigliosa “perla calcarea” che si ergeva al di sopra del mare.

Era difficile poter distogliere lo sguardo da lei a da tutto quello che la circondava e, forse influenzato dai profumi o dai colori, un’ispirazione gli saltò in testa. Prese carta e penna e cominciò a scrivere una poesia: all’inizio non riusciva a trovare le parole giuste e gli ci volle del tempo prima che tutti i termini venissero sistemati nella maniera migliore.

Per lui la Sardegna era la “donna” da proteggere e amare.

Sapeva che senza di Lei non riusciva a stare e fu così che da questi sentimenti nacque una delle poesie d’amore più belle che si possano dedicare alla propria amata, si intitolava;

A Diosa, meglio conosciuta come, No potho reposare, che diceva:

No potho reposare

Non posso riposare

No potho reposare amore ‘e coro,
Pensende a tie sò onzi momentu.
No istes in tristura prenda ‘e oro,
Ne in dispraghere o pessamentu.
T’asseguro chi a tie solu bramo,
Ca t’amo forte t’amo, t’amo e t’amo.
Si m’esseret possibile d’anghelu
S’ispiritu invisibile piccabo
T’asseguro chi a tie solu bramo,
Ca t’amo forte t’amo, t’amo e t’amo.
Sas formas ka furabo dae chelu
Su sole e sos isteddos e formabo
Unu mundu bellissimu pro tene,
Pro poder dispensare cada bene.
Unu mundu bellissimu pro tene,
Pro poder dispensare cada bene.
No potho reposare amore ‘e coro,
Pensende a tie sò onzi momentu.
T’asseguro chi a tie solu bramo,
Ca t’amo forte t’amo, t’amo e t’amo.
T’asseguro chi a tie solu bramo,
Ca t’amo forte t’amo, t’amo e t’amo.”

Non posso riposare amore del mio cuore,
Pensando a te ogni momento
Non essere triste, mia gioia,
Né addolorata o preoccupata
Ti assicuro che desidero solo te,
Perché ti amo tanto, ti amo, ti amo e ti amo.
Se mi fosse possibile dell’angelo
Prenderei lo spirito invisibile,
Ti assicuro che desidero solo te,
Perché ti amo tanto, ti amo, ti amo e ti amo.
Il suo aspetto, e ruberei dal cielo
Il sole e le stelle e foggerei
Un mondo bellissimo per te
Per poterti regalare ogni bene
Un mondo bellissimo per te
Per poterti regalare ogni bene
Non posso riposare amore del mio cuore,
Pensando a te ogni momento
Ti assicuro che desidero solo te,
Perché ti amo tanto, ti amo, ti amo e ti amo.
Ti assicuro che desidero solo te, Perché ti amo tanto, ti amo, ti amo e ti amo.”

Questo brano fu composto da SalvatoreBadoreSini nel 1926, poeta e avvocato di Sarule vissuto nella prima metà del novecento e compose la serenata sarda, che probabilmente è la più conosciuta, mentre la musica venne composta da G. Rachel per tenore e pianoforte. Tra gli interpreti di questa bellissima canzone ricordiamo Maria Carta, Tazenda, Andrea Parodi (con collaborazioni del calibro di Noa, Al di Meola e Anna Oxa), Antonella Ruggiero, Marco Carta e il Coro di Barbagia.

L’età avanzava e, si vociferava, che con il procedere di essa si diventava più saggi lasciando spazio a saggezza ed esperienza.

Capita spesso che non badiamo ai particolari e ci facciamo sfuggire quei dettagli che consideriamo “piccoli” o “inutili” ed è un errore perché delle volte sono proprio quei “piccoli” dettagli che ci permettono di fare grandi cose.

Nonostante ci sia voluto del tempo, il Sardo notò e sfruttò un materiale a cui quasi nessuno sarebbe mai venuto in mente di utilizzare per fare della musica.

Questo materiale, con le giuste e accurate lavorazioni, emetteva un suono unico nel suo genere che nulla c’entrava con quello prodotto dagli altri strumenti: il materiale in questione è la pietra!

E’ strano a dirsi figuriamoci a pensare che con la pietra si potessero comporre delle melodie, ma fortunatamente non fu della stessa opinione Pinuccio Sciola che proprio dalla pietra fece nascere uno degli strumenti più naturali ed unici nel suo genere.

sciola2

Artisticamente crebbe sulla scia di artisti come Kokoschka, Kirchner, Marcuse, Minguzzi e Vedova mentre, girando per l’Europa, ne conobbe e frequentò altri tra cui: Aligi Sassu, Giacomo Manzù, Fritz Wotruba e Henry Moore.

Girò in lungo e l’argo per l’Europa e, una volta rientrato nel suo paese natìo, lo trasformò in un paese-museo.

Così, nei muri delle case del paese di San Sperate, ritinteggiati prima completamente di calce bianca, vennero dipinti i Murales e deposte varie sculture.

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Ottenne la sua fama maggiore con le pietre sonore: sculture simili a grandi menhir (principalmente calcari o basalti) che risuonano una volta lucidate con le mani o con piccole rocce.

San Sperate 01

Le proprietà sonore delle sculture vennero realizzate applicando delle incisioni parallele sulla roccia che permettevano di generare dei suoni molto strutturati, con differenti qualità secondo la densità della pietra e l’incisione, suoni che ricordavano il vetro o il metallo, strumenti di legno e perfino voce umana.

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Meravigliosi suoni che venivano prodotti da delle pietre, chi se lo sarebbe mai aspettato ? Nessuno, io compreso e, se posso darvi un consiglio, cliccate qui  e ascoltate anche voi quello che il Maestro Sciola riuscì a fare con le pietre.

Dai “Trallallera”, alle Launeddas fino ad arrivare alle pietre di Sciola, un meraviglioso percorso musicale intrapreso dal Sardo che, ancora, non era arrivato neanche a metà.

Era un peccato che così tanta bellezza musicale non fosse conosciuta nel benamato continente e, nonostante gli ci volle del tempo, il Sardo capì che doveva uscire dal suo guscio isolano per far conoscere le sue doti musicali al di fuori della propria isola !

Difficile è poter nominare e raccontare, in un unico articolo, di tutti quei gruppi musicali che hanno fatto la storia della musica sarda, ma prima di chiudere con il nostro viaggio nelle note sarde è più che doveroso doverne nominare qualcuno.

Penso che uno dei cantanti, o il gruppo di apparenza, che più avrete sentito nominare sono Andrea Parodi ed la sua band: i Tazenda. Da “Spunta la luna dal monte” a “No potho reposare” fino alla canzone, fatta recentemente con i Modà, “Cuore e Vento” sono solo alcuni dei brani che hanno fatto grande questo gruppo che, grazie anche ad alcune collaborazioni (“Madre Terra” realizzata con Francesco Renga e “Domo Mea” fatta con la collaborazione di Eros Ramazzotti), sono riusciti a farsi ulteriormente conoscere al di là dell’isola sarda.

Ma il genere musicale con cui il Sardo esordì a livello livello nazionale fu il “Beat e Etno-rock”, e suoi due principali esponenti furono i Barritas ed i Bertas.

I primi si nominarono in quel modo ispirandosi al tipico copricapo sardo chiamato “Sa Berritta”: vinsero il concorso “Arpa d’Argento” nella città di Ozieri riuscendo ad ottenere un contratto discografico che li porterà a debuttare nel 1964 col il loro primo 45 giri, Gambale twist/Whisky, Birra e Johnny Cola  seguito da Ziu Paddori/La ballata di Efisineddu.

I secondi si formarono per iniziativa dei tre fratelli Carlo, Antonio ed Edmondo Costa nel 1965 e si esibirono per la prima volta il 20 dicembre 1965 in un locale di Sassari.

bertas

Vinsero nel 1966 il concorso per giovani musicali e cantanti a Sardegna canta e ottengono un contratto discografico con la ARC ed esce il loro primo 45 giri, Fatalità /Mi hai perdonato lo so, nel 1967, seguito dal loro primo 33 giri, Fatalità, nel 1968. Quest’ultima rimarrà la loro canzone più famosa da cui ne inciderà una cover Ornella Vanoni e verrà utilizzata anche per pubblicità televisive.

Di questi gruppi ci sarebbe tanto di cui parlare ma non lo farò, anche se mi piacerebbe dargli il giusto spazio probabilmente in altri articoli e momenti, perché sono sicuro che se dovessi entrare più nel particolare su di loro le cose da dire sarebbero tante e altrettante sulle molte altre band che a questo punto dovrei per correttezza farvi conoscere, … insomma sarebbe un tunnel senza fine !

Nonostante i Bertas, i Barritas ed i Tazenda rimangono (secondo me) tutt’oggi gli esponenti più importanti del panorama musicale sardo, negli anni a venire altri gruppi e musicisti andarono a comporre il puzzle della musica sarda.

Come dimenticarsi dei Cordas et Cannas, Piero Marras, Luigi Lai, Istentales e altri artisti che, insieme a quelli che ho già nominato in precedenza, hanno scritto la storia della musica sarda fino ad arrivare a tempi più recenti con musicisti del calibro di Paolo Fresu.

Questi sono solamente alcuni tasselli del panorama musicale e, prima di concludere questo lungo viaggio tra le note della Sardegna, vi lascio con quella che si può definire: “la ciliegina sulla torta”.

Se passate per la Sardegna vi capirà di poter sentire durante feste paesane, sagre o in semplici spuntini tra amici dei piccoli gruppi di persone che cominceranno ad intonare delle canzoni a cappella!

Di questi gruppi fanno parte i “Tenores di Bitti “Mialinu Pira“” ed i “Tenores di Bitti Remunnu ‘e Locu(giusto per nominarne alcuni), e la loro bravura non passò inosservata.

Accade che, nel 2005, l’UNESCO inserì il canto a tenore tra i “Patrimoni orali e immateriali dell’umanità.

Conclusione

Non essendo uno storico della musica ho faticato e non poco per riuscire a creare una storia che avesse una sorta di filo conduttore non proprio cronologico, ma almeno sensato e mi rendo conto che poter parlare in unico articolo è pura follia !

Ho parlato delle Launeddas che, secondo me, sono lo strumento musicale più caratteristico e importante della Sardegna, ma nella stessa maniera avrei potuto parlare delle organette, oppure del Su Tumbarinu o ancora della fisarmonica.

Il rischio di fare una “lista per la spesa”, in alcuni tratti del racconto era dietro l’angolo, motivo per cui se non troverete nominati nomi o soggetti è perché ho scoperto che il materiale che potrei avere a disposizione è davvero tanto.

E’ stato molto educativo ed inaspettatamente sorprendente, per quanto mi riguarda, poter toccare con mano parecchi dei vari aspetti storici che riguardano la musica sarda e credo che nei prossimi articoli mi divertirò a raccontare di quegli esponenti musicali che hanno fatto grande la Sardegna anche nel mondo sonoro, nella speranza di non far torto a nessuno e di potervi far conoscere artisti e stili nuovi e particolari.

Grazie del supporto che sempre mi date, al prossimo articolo.

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