La mamma del sole

sole

Ricordo ancora quando, da piccolo, mia nonna mi richiamava dicendomi:  “non puoi uscire che ci sta la mamma del sole. Guarda che, se poi ti becca, ti rapisce e ti porta via”.
Era una di quelle storie a cui si faceva riferimento, dette a noi ragazzini, per evitare di farci uscire nelle ore più calde dell’estate e, in particolare, dopo pranzo. Col passare degli anni parecchie di queste storie sono andate a morire: un po’ a causa della tecnologia che, oramai, permette a tutti (grandi e piccoli) di controllare se quello che ci viene detto sia vero oppure no, un po’ a causa del disinteresse collettivo che oramai mette sempre più nel dimenticatoio le tradizioni.
È bello poterle raccontare perché mi fanno tornare in mente tanti bei ricordi, ma anche un bel sorriso pensando a come facevo dannare mia nonna nella speranza che mi facesse uscire.

Il raccontarci queste storie era un modo per incutere terrore a noi ragazzini e cercare di tenere a bada il nostro carattere ribelle, anche se, delle volte, non erano comunque sufficienti.
La “Mamma del sole” aveva diversi nomi che cambiavano in base alla parlata, si poteva chiamare: “sa mama ‘e su sole”, oppure “sa mamma ‘e su lentolu”; altri la chiamavano “la mamma di lu soli”, altri ancora “mamma ‘e soli”.

Insomma, era conosciuta ovunque.

Nonostante immaginassimo che fosse uno scherzo o comunque un modo per non farci uscire, in testa ci balenava l’idea che, onde evitare bizzarre situazioni, era meglio restarsene a casa e aspettare che le ore calde lasciassero spazio a quelle più fresche.

Sapevano che la “Mamma del sole” aveva la brutta abitudine di uscire subito dopo pranzo e di girare per tutte le vie del paese: altissima, senza volto, coperta dal capo fino ai piedi.
I più temerari scrutavano fuori dalla finestra nella speranza di poterla vedere, anche perché non la potevi sentire.
Lei non parlava, non urlava, solo qualche lamento e, delle volte, qualche minaccia: “ti che leo, ti che leeeeeooooo ….”.
Quindi, nella speranza di poterla vedere, ci si metteva le mani nelle orecchie per evitare di sentire quella minaccia.  Delle volte ci domandavamo da dove venisse, se avesse dei bambini anche lei, il perché era così cattiva e mentre continuavamo a porci tutte queste domande lei si allontanava sempre di più, non si sapeva di preciso dove, forse in direzione del sole.

Una volta che sapevano che lei si fosse allontanata e non poteva più essere una minaccia, ci precipitavamo fuori di casa per ridere, scherzare e giocare fino a che, con l’avvicinarsi dell’ora di cena, un altro urlo prendeva il suo posto, forse anche più terrificante: “Gabrièèèè, muoviti a tornare a casa che è tardi”.

Erano altri tempi e altre situazioni in cui era bello poter credere a certe storie, ed è ancora più bello poterle raccontare perché, almeno personalmente, sono bellissimi ricordi che mi fanno, tutt’ora, emozionare.

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