Tra leggenda e realtà: il mito del Gorropu

Dopo la leggenda di “Sa Crabarissa” torniamo qui oggi per fare un altro tuffo nelle leggende sarde e, come già avrete notato dal titolo, di quella che riguarda il canyon “infernale” del Gorropu.

In un tempo lontano i pastori di Urzulei venivano frequentemente attaccati dai balentes orgolesi e per prestare a loro il suo aiuto, Dio decise di intervenire con atto estremo.
Scagliò un fulmine, dividendo il Supramonte in due parti: la Barbagia da una parte e l’Ogliastra dall’altra, formando una fenditura alquanto sinistra e dai risvolti oscuri.

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Si dice che in essa potevano passare solamente coloro a cui la sorte non avesse concesso di “morrere in su lettu” (morire nel proprio letto), un fenditura né per uomini, né per animali ma solo per gli spiriti dei banditi e delle “animas malas” (anime cattive).

Nonostante quest’atto divino, morte e carestia erano ben lontane dalla loro conclusione, un cruccio che gli abitanti di Urzulei si dovranno portare per diverso tempo.
Le risorse si trovano, per la maggior parte, nella gola del Gorropu che, per motivi territoriali, era difficile da raggiungere ed oltretutto ci si guardava bene a mettere piede in un posto avvolto da oscuri misteri.

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A causa di tutto ciò non ebbero vita facile gli abitanti di Urzulei che, per poter allentare i morsi della fame, cominciarono a fare il pane con le ghiande e a masticare l’erba, impiegando tanto tempo prima di potersi adattare a questa aspra e desolata terra in cui gli alberi di leccio nascevano dalle “interiora” della pietra.
Le cause di questa strana crescita vegetativa erano dovute dal fatto che le ghiandaie (o tortore) nascondevano le ghiande nelle fenditure delle rocce calcaree (utile come provviste per i periodi più rigidi) e che, qualcuna di queste, si trasformava in germoglio fino a diventare un possente albero grazie all’acqua invernale.
Però, a causa dell’altezza in cui depositavano le ghiande, molto spesso gli alberi crescevano, appunto, in punti elevati e quindi erano difficili da raggiungere mentre i punti facilmente raggiungibili erano facile preda per animali, motivo per cui questo popolo si dovette contendere il cibo anche con quest’ultimi.
Il cibo aveva un contenuto calorico sufficiente per la sopravvivenza ed un sapore aspro che veniva addolcito impastando le ghiande con l’argilla, facendo diventare il tutto una sorta di pane che veniva razionato giorno dopo giorno.

A causa di tutte queste difficoltà si doveva ottimizzare al meglio la raccolta delle provviste e, per fare in modo che nessuno dovesse essere un peso per qualcun altro, ogni membro della comunità doveva essere in grado di procurarsi le ghiande e sapersi fare il pane da se, con un’unica eccezione per i bambini.
Mentre per i vecchi … beh … a loro toccava una triste sorte: venivano accompagnati dai propri figli sino alla roccia di Muccidorgiu e venivano buttati giù.
Nonostante la brutale azione questo non era un disonore per loro, sapevano benissimo che la inadeguatezza lavorativa era un peso per la loro gente e preferivano mille volte di più morire che sentire le urla strazianti dei bambini dovute ai morsi della fame o, nel peggiore dei casi, vederli morire di fame.
Si pensa che, nei casi più estremi, quando le donne erano in fase di allattamento si prestavano a nutrire i figli altrui o gli anziani a cui si era particolarmente affezionati.
La leggenda degli abitanti di Urzulei è stata tutt’altro che semplice anche in seguito all’aiuto divino nel dividere il Supramonte in due parti ma, nonostante tutto, il paese riuscì a trovare la prosperità tanto desiderata !

Tutt’oggi il paese è racchiuso tra la rupe di Muccidorgiu, nella quale venivano buttati i vecchi e il Gorropu, il luogo infernale, abitato dalle anime dei cattivi.

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