Su Connottu: la ribellione del 1868

Un po’ di tempo fa avevo parlato dell’editto delle chiudende, un provvedimento legislativo emanato nel 1820 dell’allora Re di Sardegna Vittorio Emanuele I in cui si autorizzava la recinzione dei terreni. In linea generale l’editto delle chiudende portò più male che bene e nonostante venne riformato (nel 1830) il livello di malcontento rimase altissimo, esso fu idealmente seguito nel 1865 da una legge con la quale si aboliva l’istituto degli ademprivi e si imponeva una tassazione particolarmente onerosa sulle abitazioni.
Questo provvedimento, insieme all’editto delle chiudende, divenne la causa dei disordini sfociati a Nuoro nel 1868 con la rivolta nota come: “Su Connottu” (Il Conosciuto).
Un poeta sardo, Melchiorre Murenu, riuscì a rendere al meglio la situazione che si era creata con questa piccola poesia:

Tancas serradas a muru,

fattas a s’afferra afferra,

si su chelu fit in terra,

che l’ain serradu puru.

Che tradotto voleva dire:

Terre chiuse con muri,

fatte alla “afferra-afferra”

se il cielo fosse stato in terra,

lo avrebbero pure chiuso.”

Una situazione molto delicata che sfociò in una rivolta scoppiata a Nuoro la mattina del 26 aprile del 1868.

Perché si arrivò a tanto ?

Come detto all’inizio la causa principale fu “L’editto delle chiudende” ma la goccia che fece traboccare il vaso riguardava una delibera del consiglio comunale che prevedeva la lottizzazione e messa in vendita del salto di “Sa Serra” e dei terreni ex-ademprivi attribuiti al comune.
Prima di andare avanti preferirei fare un chiarimento riguardo il concetto di ademprivio:

l’ademprivio, in diritto, è un bene di uso comune, generalmente un fondo rustico di variabile estensione, su cui la popolazione poteva comunitariamente esercitare diritto di sfruttamento, ad esempio per legnatico, macchiatico, ghiandatico o pascolo.

Pastori che prima potevano far liberamente pascolare il proprio gregge in un appezzamento di terreno si ritrovarono in un situazione paradossale: da un lato avevano tutte quelle “persone” che si avevano chiuso anche pezzi di terreno che non gli spettavano dall’altra, invece, il Comune che, con l’abolimento degli ademprivi, gli aveva messi ulteriormente in difficoltà.

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Quella mattina di aprile i cittadini si diressero verso il palazzo comunale e, una volta abbattute le porte, si impadronirono dei fucili della Guardia Nazionale per assaltare il municipio.
Fu messo a ferro e fuoco e vennero bruciati, in buona parte, la documentazione in cui erano posti nero su bianco i piani di lottizzazione e i registri dello Stato Civile.
La rivolta venne guidata da Paskedda Zau con il motto “A su connottu” e le richieste esposte dai manifestanti erano semplici: un ritorno alle vecchie consuetudini e un ripristino dell’antico sistema di gestione dei terreni.
Ci fu un politico molto influente in quel periodo, un certo Giorgio Asproni, deputato in Parlamento, favorevole alla vendita dei terreni comunali e che, nel contempo, assegnava al clero un ruolo di responsabilità nella rivolta ma a seguito di questi gravi fatti sollecitò il governo italiano, insieme ad altri deputati sardi, per avviare un indagine sulle condizioni sociali ed economiche dell’isola.
Nel novembre di quello stesso anno venne istituita la Commissione Parlamentare di indagine, presieduta dal Depretis.
Nonostante la commissione si recò nell’isola nel 1869, non si arrivò ad alcuna conclusione, vani furono i tentativi di spiegare, ai commissari, i problemi economici dell’isola da parte di Francesco Cocco Ortu  e del marchese di Laconi Ignazio Aymerich.
L’unico commissario che si dimostrò interessato e che si impegnò fu Quintinio Sella che produsse un’ottima relazione sull’industria mineraria sarda.
La vicenda del Su Connottu, in seguito all’editto delle chiudende, fu la conclusione di quella che doveva essere “la svolta” per la Sardegna.

Una conclusione drammatica che non portò, di fatto, ai risvolti voluti e sperati dai sardi.

Penso innanzitutto che se l’intera vicenda fosse stata seguita passo per passo senza permettere ai sardi di recintare i terreni come dei barbari e cercando di dare ad ognuno la sua porzione di terreno, e le giuste informazioni, forse la storia sarebbe stata tutt’altra ma, ahimè, essa non è fatta di “se” ed evidentemente le cose, anche se non avrebbero dovuto, infine sono andate in quella maniera. Ma quel che mi preme di più è sottolineare che di questa terra e della sua gente raramente ci si occupa per davvero, quando poi qualcuno lo fa, purtroppo molto spesso, quelle scelte o proposte vengono imposte e suggerite senza la conoscenza del territorio delle regole ,anche quelle non scritte, della cultura, delle persone e del sociale nel quale esse vivono e allora mi viene da chiedere e riflettere: capisco che bisogna progredire e migliorare, ma dove è finito il rispetto per tutto ciò a cui poco fa facevo riferimento?

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