Storia della Dinamo Sassari

Articolo scritto dall’amico Emanuele … buona lettura!

Il 9 Aprile 1960 a St. Louis i Boston Celtics di Bill Russell e Bob Cousy vincono il loro terzo titolo NBA battendo nella serie finale 4 a 3 gli Hawks. Nei successivi 9 anni vinceranno altri 8 titoli (perdendo solo nel ’67 contro Philadelphia in semifinale) e entrano di diritto nella leggenda.

La nostra storia però inizia 2 settimane dopo, in un pomeriggio del 23 Aprile del 1960 al Liceo classico “Azuni” di Sassari. Un gruppo di studenti (Pietro Barracani, Rosario Cecaro, Graziano Bertrand, Antonio Manca, Giovanni Pilo, Bruno Sartori, Antonio Lavosi, Roberto Centi, Francesco Soccolini e Salvatore Virdis) decidono di fondare un team di basket locale. Lo sbarco degli Alleati ad Anzio nel ’45 aveva posto fine alla Seconda Guerra Mondiale; ma aveva lasciato anche, nella cultura sportiva dell’Italia del dopo-guerra, una passione per gli sport d’oltreoceano, soprattutto nelle nuove generazioni. E la pallacanestro era quello più praticato.

In realtà la Serie A di pallacanestro maschile esisteva in Italia sin dal 1920, ma fu solo dopo il conflitto bellico che si iniziò a giocare su larga scala. In quegli anni a farla da padrone era l’Olimpia Milano, vincitrice di 4 scudetti in fila (dal ’57 al ’60) e che conta già 13 allori in bacheca (sono i “nostri” Boston Celtics). Uno dei giovani liceali lancia la proposta di chiamare la neonata squadra “Dinamo” (dal greco “dinamis” che vuol dire “forza”); era il nome anche di molte squadre dell’Est europa, ma le possibili alternative (Libertas o Virtus) non piacevano: divenne ufficialmente Dinamo Sassari. E la “Dinamo” di forza ne ha avuta molta negli anni.

Così cominciò tutto: il gioco pomeridiano di alcuni ragazzi diventa realtà cui dare un seguito e un futuro. I colori sociali: venne scartata l’idea del bianco-rosso (proprio perché colori sociali dell’inarrivabile Olimpia Milano) e si optò per un patriottico bianco-blu (colori tipici delle rappresentative nazionali italiane di qualunque sport)
Dopo i difficili primi periodi (si faceva fatica anche a reperire un campo ufficiale sul quale allenarsi) la squadra divenne affiliata alla Federazione Italiana di Pallacanestro nel 1963 giocando la B regionale sul campo del “Meridda“. Fino a quel giorno la realtà sarda “baskettara” si limitava alla sola Olimpia Cagliari (anche loro bianco-rossi), fondata nel ’53 e che arriverà in serie A solo nel ’69.

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Dallo storico parquet del “Meridda” la squadra sale di categoria senza mai retrocedere. Nel frattempo, a cavallo fra gli anni ’60 ed i ’70, si succedono alla presidenza Giovanni Pilo (il primo presidente della Dinamo purtroppo scomparso), Alessandro Ponti e Sandro Agnesa: ognuno fa la sua parte, prova a dare il suo contributo al progetto, rafforzandolo, ancorandolo ed identificandolo alla realtà isolana.
Nei primi anni ’70 però c’è il rischio serio di dover chiudere per sempre la storia della palla a spicchi. I biancoblu vengono salvati nel 1974 dall’avvocato Dino Milia che trova il primo “storico” sponsor (L.I.S.A. Parodi) in un connubio tutto sardo: la squadra d’altronde gode già di una certa fama in Sardegna e il senso di appartenenza a quei colori non si limita solo al nord dell’isola. La maglia poi è bellissima: bianco-blu a strisce verticali, simile a quella odierna.
Nella stagione successiva si punta alla serie B (che però arriverà solo nel 1980). L’anno dopo in società arriva l’ex giocatore Mimì Anselmi nel ruolo di direttore tecnico, uomo incredibile che resterà legato alla squadra fino alla sua morte e sarà una pietra miliare lungo la crescita della Dinamo.

Nel 1980 arrivò finalmente la serie B e si inizia a costruire il nuovo palazzetto dello sport: inizialmente per 2500 persone, poi ampliato a 5000. Verrà intitolato nel 1996 a Roberta Serradimigni (figlia dell’ex calciatore della Torres, Umberto) giocatrice della nazionale di basket deceduta in un incidente stradale (la sorella Nunzia partecipò alle Olimpiadi di Mosca ’80): è l’attuale PalaSerradimigni. Gli sponsor “Olio Berio” e “Sella & Mosca” si alternano sulla maglia, in panchina c’è Sergio Contini. Nel 1983 la prima retrocessione, ma l’anno dopo c’è il riscatto e nuova promozione; il coach è Pierpaolo Cesaraccio, in campo ci sono Giampaolo Doro, Peppone Pirisi e Sergio Milia. La svolta è vicina, lo sponsor diventa la Banca Popolare di Sassari, la società scalda i motori. Il 1989 è l’anno della svolta: Sassari si regala la Serie A2 vincendo la finale play-off contro Siena. Esattamente. Proprio la Mens Sana Siena, che comunque centrerà la promozione l’anno dopo per poi vincere 6 scudetti di seguito tra il 2008 e il 2013, ma che all’epoca non era ancora la grande Montepaschi.

La sfida dell’A2 era affascinante ma difficilissima: il campionato da matricola non è affatto semplice. La squadra va in visita ufficiale al Quirinale ricevuta dal Presidente della Repubblica e sassarese doc Francesco Cossiga.
La prima storica salvezza arriva sul filo di lana ai danni della Marr Rimini. Gli anni ’90 proseguono così: sulla panchina si alternano coach esperti come Sergio Contini, Stefano Michelini, Cesare Pancotto, Claudio Corà, Marcello Perazzetti ma la squadra vive sempre con l’incubo della retrocessione. Intanto arrivano i primi 2 giocatori americani della storia sassarese, Floyd Allen e Tom Sheehe.

Sulle maglie arriva lo storico (e attuale) sponsor Banco di Sardegna e la “Pintadera” fa la sua comparsa sulla canotta, a suggellare una volta di più lo stretto legame che la squadra ha con l’intera regione, seguendo lo spirito di coloro che la fondarono: nell’isola infatti sono conosciuti semplicemente come “Sa Pintadera”. In campo la guida Emanuele Rotondo: guardia-ala di 1,94 cm, resterà per 16 stagioni diventandone capitano e uomo bandiera (la sua maglia nr.12 venne ritirata). Ancora oggi è leader di punti realizzati (4.613) con la Dinamo.

Nel 1992, mentre il Dream Team Basket U.S.A (quello con Jordan, Bird, Magic Johnson, Stockton & Malone per capirsi) vinceva a mani basse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Barcellona, Sassari arriva dodicesima in A2. Seguiranno altre stagioni anonime, fino ai play-off persi contro Livorno nel ’98 e l’amara retrocessione del ’99. Nel 2000 arriva la fusione con la Libertas Pallacanestro Forlì; i colori e il nome rimangono, però, quelli sardi. Il ritorno in A2 (anzi LegaDue) è storia del 2003 con Franco Ciani in panchina. La squadra si distingue per la generosità e l’affetto dei sui supporter (vince per 3 volte il Trofeo Disciplina di LegaDue) e ormai la gente la segue in tutta la Sardegna.

Nel giugno del 2005, il controllo della società vede il passaggio dallo storico presidente, l’avvocato Dino Milia, a una nuova compagine sociale con l’imprenditore Luciano Mele a ricoprire la massima carica dirigenziale.

L’uomo della provvidenza però viene da Altamura, Puglia. Si chiama Romeo Sacchetti, detto Meo. Allenatore giramondo: allenava fino al 2007 a Capo d’Orlando. Lo prendono e lui rivoluziona la squadra. Né calcoli, né proclami, solo spirito di sacrificio e lavoro in allenamento e in campo. Va due volte ai play-off (2008 e 2009) per poi vincere la finalissima nel 2010 contro Veroli (altra piccola-grande realtà del basket italiano). La squadra si basa sul ceco Ji Hublek, sull’italo-americano Binetti ma soprattutto su Manuel Vanuzzo e Giacomo “Jack” Devecchi (che giocano ancora oggi con la canotta biancoblu).

Arriva la Serie A. E finalmente nella geografia “sportiva” italiana ci si accorge di Sassari. Già. Anche in Sardegna si gioca con la palla a spicchi. Per la prima stagione nel basket che conta, la società si fa un regalo: prende Travis Diener, ex play-maker Nba con trascorsi negli Orlando Magic e Indiana Pacers. Chiuderà la carriera a Sassari diventando un’idolo della folla, prenderà la cittadinanza italiana (partecipando agli europei del 2013 con la maglia azzurra) e convincerà il cugino Drake a seguirlo sull’isola. Il tutto con la maglia numero 12 che fu di Emanuele Rotondo.
Per inciso il 21/05/2014 contro Brindisi (gara play-off) Drake mette 7 triple nel solo primo quarto: record di sempre nella nostra serie A. Al termine della prima stagione in serie A, la Dinamo si classifica sesta con 30 punti, davanti a squadre dall’illustre passato come Varese, Virtus Bologna e Virtus Roma. La tristezza c’è solo perché a maggio scompare il compianto Mimì Anselmi.

Il finale è storia recente. La Dinamo migliora di anno in anno, coach Sacchetti inserisce nel roster anche il figlio Brian e la squadra arriva fino al secondo posto nel 2013, trascinata, tra gli altri, dal campione sloveno Sani Becirovic. La squadra è cresciuta sino a diventare oggi vero e riconosciuto simbolo di appartenenza e identità per tutti i sardi. E infine la Coppa Italia, vinta lo scorso 9 febbraio in finale contro Siena. Già. Nuovamente Siena. Solo che per loro quella era l’ultima partita prima del fallimento societario. Per Sassari la ciliegina sulla torta di una bella storia di basket.

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L’origine del nome Dinamo? Ognuno può interpretarlo come vuole, l’importante è che resti nel cuore di tutti, per altri 54 anni, e oltre
cit. Rosario Cecaro 

 

Link utili: Articolo la della Nuova Sardegna
Dinamo basket
Mimi Anselmi
Glorie sassaresi

 

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