Sa die de sa Sardigna

 

Era il lontano 28 aprile del 1794, una bella mattina primaverile, ottima per una giornata in cui il popolo sardo avrebbe fatto la storia dopo anni di dure lotte, sangue, sudore e lacrime versate.

Mah!. Prima però di raccontarvi quello che accadde quel giorno, facciamo qualche passo indietro tornando al 1780.

Era l’epoca in cui il Regno di Sardegna era sotto il dominio della dinastia dei Savoia e il popolo sardo non attraversava il suo miglior periodo storico.

Il governo di Torino si era rifiutato di soddisfare le nostre richieste inerenti agli impieghi militari e politici, al poter avere una maggiore autonomia riguardo alle decisioni della classe dirigente locale, al poterci riservare delle cariche pubbliche e ad istituire a Cagliari un Consiglio di Stato e a Torino un ministero per gli affari interni della Sardegna.

Qualsiasi tentativo che adottammo con l’intento di far sentire le nostre idee fu vano, ogni nostra richiesta venne respinta e, nel frattempo, il bisogno di far sentire la nostra voce divenne sempre più forte ed esigente.

Il malcontento popolare si estese a macchia d’olio e gradualmente coinvolse tutta l’isola dando vita ai primi movimenti di ribellione a cui demmo il nome di “I Vespri Sardi”.

Gli anni passavano e le condizioni non miglioravano e quando credevamo di aver toccato il fondo accadde un fatto che peggiorò ulteriormente la situazione.

Da giorni arrivavano voci sempre più forti riguardo i francesi che stavano portando avanti una guerra contro gli stati europei, una guerra a cui noi speravamo non dover prendere parte.

I giorni passavamo inesorabili tra un cambio di guardia e l’altro, tra il cercare di recuperare le ore di sonno perse e procurare del cibo ai più bisognosi.

Tutto sembrava procedere secondo i piani ma una mattina accadde l’ineluttabile !

Fui sobbalzato dal letto dal suono degli allarmi e dalla gente che correva all’impazzata verso l’armeria, non capivo cosa stesse accadendo finché il mio sguardo non cadde sulla costa: una flotta francese era sbarcata a Carloforte.

Mi precipitai a prepararmi per poter raggiungere i mie compagni e prendere parte allo scontro.

La volontà di difendere la nostra benamata Terra ci dava la forza e l’entusiasmo di procedere senza indugi in questo scontro e, passo dopo passo, riuscimmo a bloccarli e neutralizzarli.

Furono giorni di dura ed estenuante lotta in cui tutti noi sardi opponemmo resistenza con ogni mezzo contro l’ostilità francese e, nonostante tentarono di insediarsi a Cagliari, riuscimmo a cacciarli via. Dentro ognuno di noi maturò la speranza di poter essere ricompensati dal governo Sabaudo per la fedeltà dimostrata alla corona.

Mah!. Purtroppo, non fu così.

Una manifestazione di fedeltà di questo genere avrebbe meritato immediato riconoscimento: almeno, si sosteneva da più parti della Sardegna, la convocazione delle corti generali, la conferma del corpus legislativo, la concessione a noi sardi di una parte degli impieghi civili e militari oltre ad avere una maggiore autonomia rispetto alle decisioni della classe dirigente occupante e un Ministero distinto, a Torino, per gli affari dell’isola.

Non accadde nulla di tutto ciò ma, al contrario, il governo piemontese liquidò la situazione in fretta, snobbando ogni nostra aspirazione e lasciandoci le briciole: 24 doti da 60 scudi da distribuire tra le zitelle povere, 4 posti gratuiti per il Collegio dei Nobili di Cagliari, 2 posti nel Collegio dei Nobili di Torino, 1000 scudi l’anno per l’Ospedale civili di Cagliari e l’amnistia per tutti i crimini commessi prima della guerra.

Il principale responsabile di questa situazione fu il Viceré Vincenzo Balbiano che aveva consigliato al re Vittorio Amedeo III di rifiutare le richieste dei sardi e che, oltretutto, aveva tentato di corrompere i membri della delegazione sarda inviata per presentargli le richieste.

La nostra euforia si trasformò in odio contro l’ingratitudine dei piemontesi e dei loro compatrioti di stanza in Sardegna che, al contrario nostro, avevamo beneficiato d’ogni sorta di favoritismo. Il tempo delle richieste era finito ed oramai si era giunti al punto in cui l’unica soluzione possibile per sperare in una vita migliore, era quella di passare all’azione.

Così nonostante la bella giornata primaverile quel lontano 28 aprile del 1794 il popolo sardo avrebbe fatto la storia dopo anni di dure lotte, sangue, sudore e lacrime versate, probabilmente altro sudore, sangue e altre dure lotte da affrontare e lacrime da versare.

La tensione era palpabile, ma l’entusiasmo alle stelle perché quel bellissimo giorno di primavera nel cuore di tutti noi ardeva di voglia di vivere e di non dover più sottostare al controllo del tiranno piemontese.

Sembrava proprio di vivere in una vera polveriera in cui sarebbe bastata una semplice e formale scintilla per scatenare l’inferno.

E la scintilla scoppiò a Cagliari nella notte tra il 28 ed il 29 aprile quando il Viceré aveva ordinato a un drappello di miliziani piemontesi di arrestare due capi del partito patriottico: l’avvocato Vincenzo Cabras, con l’accusa di sedizione contro lo Stato, e Bernardo Pintor (scambiato per il fratello Efisio).

Come sapemmo della notizia ci precipitammo verso il Castello insieme ad un fiume di gente che da un decennio aspettava questo momento: vennero prima disarmate le guardie poste a difesa della porta di Sant’Agostino, poco dopo altri compagni assaltarono le porte della Torre dell’Elefante e della Torre del Leone, intenzionati ad arrestare il Viceré.

Ci furono ore di lotta, ore in cui proseguimmo anche con le ricerche del Viceré, purtroppo senza trovarne traccia.

Sembrava che fosse riuscito a fuggire quando invece un gruppo di compagni ci venne ad avvisare che erano riusciti a scovarlo nel palazzo arcivescovile, dove si era rifugiato insieme alle massime autorità piemontesi.

Il 7 maggio, lo stesso Balbiano, insieme a 514 soldati e funzionari piemontesi, vennero imbarcati sulle navi, e rispediti in Piemonte e, nei giorni seguenti, le città di Alghero e Sassari seguirono l’esempio dell’odierno capoluogo.

Quello che vedo dopo due secoli è che la libertà è sempre un diritto da conquistare e che nonostante tutti gli sforzi compiuti in quell’epoca, e nei tempi successivi, non sono bastati a garantirci quel diritto, forse perché abbiamo ancora il dovere, proprio grazie a quegli esempi, di continuare a conquistarcelo.  

 

 

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