Il grande Cagliari

Come di consueto, ringrazio il mio amico Emanuele per questo articolo: buona lettura !

I due ragazzi potevano chiamarsi Juan o Pablo, Pedro o Luis mentre Lei, la ragazza, poteva chiamarsi Paloma o Maria. Ma il mondo li conobbe senza nome. Vennero ritratti insieme, in tre storiche radiofoto, sdraiati sulla plaza delle “Tre Culture” a Città del Messico. Morti. Lì, quel 3 Ottobre 1968, c’era stata la più grande manifestazione studentesca mai vista in un paese sudamericano. I ragazzi li aveva uccisi “l’inferno programmato” della Guardia Presidenziale per salvare il buon nome del Paese e del Governo. Il quale aveva orgogliosamente promesso al mondo di organizzare le Olimpiadi del ’68 (nonché i Mondiali di calcio del ’70) senza disordini. Olimpiadi previste per il 12 ottobre (simbolica data a ricordo dello sbarco nelle Americhe di Colombo): le manifestazioni studentesche non erano “previste” e non erano “gradite”.

Lì, quel 3 Ottobre 1968, muoiono decine di studenti che verrano poi seppelliti clandestinamente. Il paese che aveva dato alla storia i nomi di Pancho Villa e Emiliano Zapata fino al sub comandante Marcos, vedeva concludere il “suo” ’68 in un bagno di sangue. Le Olimpiadi si sarebbero fatte.

Dall’altra parte dell’Atlantico le manifestazioni studentesche e le agitazioni di piazza nacquero originariamente a metà degli anni sessanta e raggiunsero la loro massima espansione nel 1968 nell’Europa occidentale col suo apice nel Maggio francese. Negli Stati Uniti d’America la protesta giovanile si schierò contro la guerra del Vietnam, legandosi alla battaglia per i diritti civili. Il mondo stava cambiando radicalmente. Tutto ciò arrivò anche in Italia. Il nostro era un Paese sull’onda del rilancio economico: eravamo la nazione della “Bella Vita”, c’era il governo Saragat, al cinema si andava a vedere “2001: Odissea nello Spazio” e i Beatles dominavano le classifiche cantando “Get Back”.

Il clima euforico degli anni 60 si ravvisava anche nello sport: stadi pieni, olimpiadi del 1960 organizzate a Roma e , ciliegina sulla torta, la nazionale di calcio che vince gli Europei del ’68 organizzati proprio nello Stivale. La formazione riporta alla mente eroi d’altri tempi: Albertosi, Facchetti, Burgnich , Guarneri, De Sisti, Rivera, Mazzola. Ma i nomi soprattutto: Tarcisio, Giacinto, Aristide …nomi dell’Italia dei nostri nonni, che non c’è più. Su tutti, come un divo di Cinecittà dell’epoca, Gigi “Rombo di tuono” Riva. Il nostro era davvero il campionato più bello del mondo.

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Di questo campionato, da qualche anno, ne fa parte anche il Cagliari Calcio. Promossa, per la prima volta, nella massima serie nel 1964, la squadra isolana disputa alcune buone stagioni da centro classifica. Le partite si vanno a vedere allo stadio Amsicora (che prende il nome dal leggendario eroe sardo protagonista della rivolta del suo popolo contro i romani nel 215 a.C.). La svolta proprio nel ’68: in panchina arriva Manlio Scopigno.

Scopigno è un friulano (come Zoff o Capello), trapiantato a Rieti sin da bambino: faccia triste, discreto terzino da ragazzo (fermato da un grave infortunio), soprannominato “Il Filosofo”, aveva già allenato i rossoblu 2 anni prima arrivando sesto. Dirà di lui Pierluigi Cera, storico capitano:

Scopigno era arrivato da poco. Eravamo in ritiro per una partita di Coppa Italia e in sette o otto, in barba alle regole, ci eravamo dati appuntamento in una camera per giocare a poker. Fumavamo tutti e giocavamo a carte sui letti. C’era anche qualche bottiglia che non ci doveva essere. Ad un tratto si apre la porta: è Scopigno. Oddio, penso, ora ci ammazza, se ci va bene ci leva la pelle e ci fa appioppare una multa! Scopigno entrò, nel fumo e nel silenzio di noi altri che aspettavamo la bufera, prese una sedia, si sedette vicino a noi e disse tirando fuori un pacchetto di sigarette:

“Do fastidio se fumo?”.

In mezz’ora eravamo tutti a letto ed il giorno dopo vincemmo 3-0.

Guidati da questo “anti-eroe” alla Mourinho il Cagliari dà spettacolo, gioca alla grande e lotta fino all’ultimo per lo scudetto, arrivando secondo dietro la Fiorentina (altra bella realtà dell’epoca). Ma Manlio e i suoi ragazzi hanno imboccato la via giusta, l’allenatore è entrato in sintonia con l’ambiente; d’altronde se vieni da un luogo di campagna e pastori come la Sabina fai subito ad ambientarti anche con la “cultura” del popolo sardo: sacrificio, passione e sudore per la propria terra. Per inciso proprio a Rieti gli dedicheranno lo Stadio comunale di calcio.

Nell’estate del 69, mentre gli U.S.A. arrivano sulla luna con l’Apollo 11, i rossoblù scambiano il centravanti Boninsegna con l’Inter di Herrera; agli isolani vanno in cambio il difensore Poli, il centrocampista Domenghini e la punta Gori. sono gli ultimi pezzi per completare il puzzle sapientemente costruito. Arriva anche Mancin, fresco campione d’Italia con la Fiorentina. Oltre a “Boninba“, anche l’altro attaccante del Cagliari, Riva, è oggetto del desiderio di molte società; ma come lui stesso ammetterà:

Quando vedevo la gente che partiva alla 8 da Sassari e alle 11 lo stadio era già pieno, capivo che per i sardi il calcio era tutto. Ci chiamavano pecorai e banditi in tutta Italia e io mi arrabbiavo. I banditi facevano i banditi per fame, perché allora c’era tanta fame. Il Cagliari era tutto per tutti e io capii che non potevo togliere le uniche gioie ai pastori. Sarebbe stata una vigliaccata andare via, malgrado tutti i soldi della Juve. Dopo ogni partita spuntava Allodi che mi diceva “Dai, telefoniamo a Boniperti”. Ma io non ho mai avuto il minimo dubbio e non mi sono mai pentito“.

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La stagione 69/70 inizia il 12 settembre e alla quinta giornata il Cagliari è già in testa dopo aver battuto proprio i campioni in carica della Viola. Vediamola nei protagonisti questa squadra.

  • In porta c’è Enrico Albertosi, detto Ricky. Per un intero decennio vivrà un dualismo con Sarti, compagno e collega di nazionale con cui si dividevano i guantoni. In questa stagione ottiene il record del minor numero di reti subite in un campionato a 16 squadre (11 goal). Agile e longevo (giocherà fino al 1980) ha ridefinito la regole del portiere “moderno”;
  • Come terzini ci sono Martiradonna e Zignoli. Il primo, barese, dopo anni di gavetta (Teramo, Reggiana) vive di persona tutta la scalata della squadra dalla B fino allo scudetto; dirà: “Quando arrivai in Sardegna da Reggio Emilia mi dissi: : -Madonna, dove sono capitato ?- Adesso non andrei via per tutto l’oro del mondo: io a Cagliari ho vinto lo scudetto…” . Il secondo, Zignoli, ha appena 22 anni, viene da Verona, e quel “matto” di Scopigno decide che il titolare quell’anno sarà lui nonostante avesse una sola presenza in serie A e nonostante potesse contare su giocatori più esperti come Mancin o Poli;
  • In mezzo alla difesa c’è Communardo Niccolai, stopper d’altri tempi: grintoso, magari sgraziato ma tremendamente efficace nel marcare i tanti bomber che girano nel nostro campionato; anche lui con un bel ricordo di quella stagione : “Quando io vengo a Cagliari, e ci vengo spesso, sento ancora la gente che ha grande affetto nei miei riguardi. Questa è la grandezza di quel campionato, ma soprattutto dei cagliaritani in particolare e dei sardi in generale. La Sardegna è questa. Noi ne facevamo parte, abbiamo regalato delle grosse sensazioni, ma loro ce le hanno restituite con gli interessi. Anche ora, dopo 30 anni. L’ultima volta che sono venuto a Cagliari, una persona, gentilissima, mi ha offerto il pranzo, solo per aver fatto parte di quella squadra, un gesto di immensa riconoscenza.“;
  • E se qualcuno “scappa” alla marcatura di Communardo (sempre per la serie “nomi d’altri tempi”) dietro c’è il libero Giuseppe Tomasini, bresciano col vizio del gol (ben 3 per lui quell’anno). Resterà a Cagliari fino al ’77. In mezzo al campo, poi, a fare da frangi-flutti, il capitano Pierluigi Cera: mediano di spinta, si legherà ai colori rossoblù per 14 anni. Leader carismatico, uomo ovunque e mediatore con il mister.
  • Sugli esterni, anzi sulle ali, visto che così si chiamavano 40 anni fa, Domenghini e Nenè. il primo, preso nel già citato scambio con l’Inter, è già un campione quando arriva sull’isola. Giocava nella vincente nazionale dell’Europeo del ’68 ed è la vera fonte di gioco del Cagliari: palla ad Angelo e mettiamo in crisi il suo marcatore. Per gli avversari era quasi impossibile tenerlo nell’uno contro uno. Dall’altra parte a sinistra il suo omologo, il brasiliano (e unico straniero in rosa) Nenè: mezz’ala tecnica, veloce, nato a Santos, cresciuto nelle favelas, scoperto dalla Juve, dal ’64 semina avversari in maglia rossoblù. Anni dopo da queste parti passerà un altro Nenè, ma è un’altra storia.
  • A completare il tutto in mezzo al campo Greatti, uomo d’ordine e di fatica e Sergio Gori preso dall’Inter per fare la seconda punta d’equilibrio. Il vero bomber infatti è “Giggirriva” (alla sarda). Gigi è il primo giocatore della società cagliaritana a giocare in Nazionale azzurra. Esordisce il 27 giugno 1965 in Italia-Ungheria (1-2): la punta vestirà la maglia dell’Italia sino al 1974, segnando 35 reti in 42 presenze (primato assoluto tutt’ora imbattuto), vincer‡ il campionato d’Europa 1968 ed arriverà secondo al campionato del mondo 1970 in Messico (sua una delle reti nel famoso 4-3 contro la Germania all’Azteca).

Il resto della rosa è completato da Regianto, Mancin, Poli, Brugnera (mezz’ala e uomo jolly con 3 gol), Nastasio e Tampucci. Il Cagliari vola per tutto il girone d’andata, ma nelle prime sette gare di ritorno la Juventus incamera tredici punti; il 15 febbraio stende il Vicenza, mentre il Cagliari paga dazio a San Siro, venendo punito nel finale dall’ex Boninsegna e ritrovandosi i bianconeri ad un solo punto di distacco. Dirà Scopigno: “La Juventus è a un punto ? Bene, con un punto in più, se il regolamento non cambia, lo scudetto lo vincerà il Cagliari

I rossoblù, difatti, riuscirono ad aumentare il vantaggio a due punti la settimana dopo, mantenendo le distanze fino allo scontro diretto con i bianconeri. Il 15 marzo 1970 al Comunale di Torino va in scena uno storico 2-2 con doppietta di Riva nel finale. A due minuti dalla fine della partita decisiva per lo scudetto Cera chiese: “Mister quanto manca ?“. Scopigno, mentre aspirava la sua sigaretta, rispose con calma olimpica “A che cosa ?

Il 12 aprile l’ormai lanciato Cagliari chiuse all’Amsicora la miglior stagione della sua storia, mandando in B il Bari e festeggiando il primo scudetto. A soli sei anni dall’approdo in massima serie, la squadra rossoblù portò il titolo lontano dalle grandi città del Nord e del Centro Italia, conquistando una vittoria ricca di significati per l’intera Sardegna.

Dirà Domenghini anni dopo “Avremmo potuto vincere un altro scudetto, forse anche la Coppa dei Campioni. L’anno dopo eravamo ancora più forti e Gigi non era mai stato grande come allora, ma poi venne la sera del Prater. Mi ricordo il piede staccato dalla gamba che penzolava, le urla di Gigi : capimmo subito che era finito il sogno…

Le 21 reti di Riva comunque valsero all’attaccante il titolo di capocannoniere e la convocazione al Mondiale di Messico 1970, assieme ad altri cinque giocatori della squadra rossoblù: Albertosi, Cera, Domenghini, Gori e Niccolai. Già il Messico. Lì era iniziato il nostro racconto e li finisce la nostra storia: è nota una frase che mister Scopigno avrebbe detto per commentare la presenza alla Coppa del Mondo di un suo giocatore:

Mi sarei aspettato di tutto dalla vita, ma non di vedere Niccolai in mondovisione“.

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