La leggenda degli Ichnos

Premessa

Leggendo il nome “Ichnusa” molti pensano subito alla birra sarda senza sapere che in realtà questo termine è il nome in greco antico della Sardegna.

Sono delle leggende, trovate navigando nel web, che raccontano di come venne scoperta la Sardegna e dei suoi primi abitanti: gli Ichnos.

Questa volta non ci sarà bisogno di una lunga premessa, vi auguro una buona lettura!

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Le tre leggende

1) Narra una leggenda che il Signore, dopo la gran fatica della Creazione, prima di riposarsi, trovatosi ancora un mucchio di pietre granitiche e basaltiche, le sparse sul mare che si stendeva solitario e splendente ad ovest del Tirreno. Premette il piede calzato sui ruvidi sassi e, sollevatolo, guardò il segno; si compiacque dell’orma impressa, sorrise al risultato del suo estro e tra se e se disse: “La chiamerò ICHNUSA”. Forse, però quasi in colpa che l’avesse fatta da un avanzo, nel suo cuore passarono desideri di abbellimento; si sollevarono, allora, colline e originali montagne, bastioni di granito e di basalto, pietre di forme strane, pianure ondulate. Lungo i fianchi delle alture e a valle crebbero, al Suo cenno, roverelle, sugheri, lecci, agrifogli, mirti e corbezzoli splendenti, tassi e forti ginepri, ovunque cisti e lentischi.
Della stagione propria fu un biondeggiare di spighe; gli armenti brucarono, per vasti campi, erbe fresche e profumate. E vide ancora che tra quei sassi luminosi vi erano minerali di pregio.

Sorrise nuovamente e rilevò sollevando il Divino ciglio:- “Gli uomini che abiteranno quest’orma saranno pastori, agricoltori e minatori. Il Mare è pescoso; l’acqua dolce inoltre serpeggerà ovunque, sotto la feconda lettiera indecomposta, anche se le piogge non saranno abbondanti; gli animali selvatici avranno rifugio e cibo tra le rocce.
L’Uomo ne caccerà e ne ammansirà per il suo utile; ci sono mufloni, cervi, camosci; le aquile, i gatti selvatici, gli uccelli di rapina, creeranno i dovuti equilibri ecologici. Qua, più che altrove, la natura può essere risparmiata e preservata dalle rapine e dagli inquinamenti. Ho fiducia nell’Uomo che vivrà in codesto luogo: la solitudine, i panorami immacolati, il silenzio pieno di fantasia e il genere di materie prime di cui si avrà dovizia, senz’altro lo renderà anche musico, poeta e artigiano. Il canto degli uccelli e lo sgorgare delle acque nelle fonti saranno suoni dei suoi zufoli di canna e d’osso, la contemplazione e l’ammirazione, piene di stupore, saranno parole di poesia, parole d’amore per la bellezza del luogo e per la propria donna. A lei dedicherà i versi più appassionati; per lei, con le ossidiate, i coralli e i granati, fabbricherà monili in filigrana. La donna, dal canto suo, sarà custode assidua del focolare, premurosa e vigile compagna, filatrice e tessitrice infaticabile. E tante cose ancora potrebbero essere gli abitanti di questa terra…”

Trasse un sospiro l’Onnipotente e l’alito divino corse per la terra appena creata. Era tardi… le stelle e la luna stavano per spuntare. ” Chissà – pensò mentre una ruga gli solcava la fronte, – se i miei desideri saranno ascoltati… anche questi ho voluto liberi”.

Anni, secoli, millenni e millenni sono trascorsi dalla Creazione e il mistero permane. Si sono accavallate vicende e vicende, morte e sepolte generazioni e generazioni, ma la ragione della vita e della morte è sempre nel grande Arcano.

Anche li, su quel mucchio di pietre, gli uomini si rallegrano e soffrono da tempo, le differenze degli usi e dei costumi sono sfumature rispetto alla somiglianza del comune destino circa la vita e la morte.

Anche lì si è fatta la Storia: si sono costruiti villaggi e città, si sono aperte strade, si sono combattute battaglie e guerre feroci; si sono innalzate torri e ciminiere. Anche lì come altrove, sono i segni delle abitudini e degli eventi eccezionali. Sono accaduti fatti che hanno caratterizzato un’epoca, altri che sono passati inosservati; moltissimi hanno inciso sul carattere e sulle espressioni collettive, che sono arrivate fino a noi, cioè hanno fatto tradizione. Nella Tradizione è l’anima di un Popolo.

Guardando a lei possiamo conoscere quelli che fummo nei nostri antenati e quelli che siamo nei contemporanei.

2) Fra tutte le leggende della Sardegna ce n’è una che mi piace particolarmente: è la leggenda di Ichnusa, il racconto tramandato dai greci su come è nata l’isola di Sardegna. Questa storia ha inizio in un tempo non ben precisato, sicuramente molto molto lontano, prima ancora che sorgesse in Sardegna la civiltà nuragica. In quell’epoca, come in ogni età antica che si rispetti, la situazione sulla Terra era idilliaca, tutti andavano d’amore e d’accordo, ogni tanto fra gli dei e gli uomini nasceva qualche scaramuccia, ma nulla che il latte e il miele non potessero sanare. Un giorno però quel gran donnaiolo di Zeus si indispettì non poco per colpa di un marito che gli aveva tirato una scarpa mentre, sotto forma di uomo, scappava dalla finestra della stanza della moglie. Così, giudicando irreparabile l’affronto, decise di vendicarsi sui poveri abitanti della Terra, come sempre. Essendo Zeus veramente un gran testardo, non volle sentire alcuna delle ragioni di coloro che si opponevano al suo progetto di rappresaglia: allagare tutta la Terra e annegare così l’intero genere umano. L’indomani, ancora bollente di rabbia, Zeus chiamò a raccolta tutte le nuvole del cielo e fece piovere così tanto che l’acqua raggiunse persino il portone di casa sua sull’Olimpo, costringendo Hera a chiudere le fessure coi sacchi di sabbia. Ma, ad un certo punto, nel tripudio di acqua, lampi, tuoni e onde altissime, la situazione quasi gli sfuggì di mano e, per evitare di essere trascinato egli stesso nei gorghi, Zeus dovette poggiare il suo piedone sulla Terra. Alla fine del diluvio, Zeus tornò soddisfatto sull’Olimpo, ma, levando il piede, si accorse di aver lasciato fra le acque un’enorme impronta. Decise allora che, in onore del suo divin piedone, quell’isola in mezzo al mare avrebbe preso il nome di Ichnusa, da ichnos che in greco significa orma.
Ecco spiegato perchè, anticamente, i greci e i popoli del mare chiamavano Ichnusa quella che oggi è la Sardegna (e anche perchè, più prosaicamente, il nome della famosa birra sarda è proprio Ichnusa….che Zeus ami o meno la birra non si sa, però non avendo mandato altri diluvi probabilmente ha apprezzato).

3) Un’altra leggenda antica, quella egizia, narra dei “Serdan“, uno dei “Popoli del Mare“. Forse questo popolo era quello degli antichi Sardi. Coloro che per primi abitarono quest’Isola che i latini appellarono con la parola “Sardinia” derivandone il nome da “Sandalia” a sua volta ispirato dal Sandalo inteso come calzatura. Ma l’origine forse è nascosta sotto la calzatura.
Già, perché è proprio la forma curiosa dell’isola che spinse i greci a chiamarla “Ichnusa” vocabolo derivato da quello che in greco significa orma. Sovente i percorsi che guidano il nostro essere si rispecchiano in immagini guida che, più o meno emotivamente stabili, si intensificano o si sgretolano come polvere.
Percorsi che svaniscono o si sedimentano.
Il tutto lascia, durante il nostro cammino, delle orme che se pur cancellate come in riva al mare sono in realtà parte di noi.

Ichnos è l’orma indelebile che portiamo in noi, impressa dai nostri pensieri, dalle nostre emozioni e le nostre azioni.

Millenni fa, agli albori della vita sul nostro pianeta, già esisteva un continente chiamato Tirrenide. Era un continente esteso, ricoperto da una natura verde e rigogliosa, popolato da uomini forti ed animali.
Ma improvvisamente, una notte, per motivi inspiegabili, l’ira di Dio si scagliò su Tirrenide. Il suolo cominciò ad agitarsi, scosso da terribili sussulti; il mare fu sconvolto da una furia terribile. Le onde erano talmente alte che quasi toccavano il cielo e sfortunatamente si abbatterono su Tirrenide in modo rovinoso, scuotendo le coste, invadendo le fertili pianure; come se questo non bastasse, si alzarono tanto da arrivare a coprire le ridenti colline, ed ancora di più fino a coprire le più alte vette. Pareva la fine del mondo! Tirrenide stava per inabissarsi del tutto finché Dio improvvisamente placò la sua collera. “Oh terra infelice! A quale sterminio ha portato la mia collera!” esclamò allora Dio pentito. E, poiché una piccola parte di terra emersa emergeva ancora, vi pose sopra un piede e riuscì a trattenerla prima che il mare la inghiottisse completamente.
Fu così che della grande Tirrenide rimase quell’impronta solitaria in mezzo alla grande distesa d’acqua, da cui dapprima prese il nome di Ichnusa, che significa appunto “orma di piede” e in seguito Sardegna, da Sardus, eroe Bérbero, venuto dall’Africa. 

Ichnusa, nonostante le ridotte dimensioni, aveva mantenuto tutte le caratteristiche del continente scomparso, e le aveva conservate in modo talmente fedele, che i naufraghi scampati ebbero l’impressione di rivedere, in piccolo, la loro Tirrenide, quando riuscirono a trovare la salvezza nelle sue sponde. Il ricordo della terrificante sciagura, però, aveva impresso nel loro cuore un’orma indelebile: un’orma di malinconia profonda, che passò ai loro figli, e che, trasmessa di generazione in generazione, perdura tuttora nel cuore dei Sardi. 

Oggi noi dopo tanti millenni, troviamo ancora quella malinconia: la ritroviamo nell’accorata ninna nanna di una madre, nel desolato canto di un pastore, nelle struggenti nenie di un rito funebre; la ritroviamo nelle gravi movenze di una danza, e nell’intensità solenne di una festa; la ritroviamo nel misterioso patrimonio degli usi e costumi, delle tradizioni e delle leggende; la ritroviamo, insomma, un po’ in tutto ciò che rispecchia l’antichissima anima di questo popolo: un’anima che può apparire ruvida e ombrosa, ma che si manifesta, invece, gentile e appassionata a chi sa avvicinarla e comprenderla.

 

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