Storia del popolo sardo

In un periodo compreso tra i 500.000 e i 100.000 anni fa risalgono le prime testimonianze di presenza umana nell’isola sarda. Un popolo unico che ha saputo trarre vantaggio da un Isola caratterizzata da una posizione strategica in mezzo al mar Mediterraneo (motivo per cui è stata per anni vittima di intensi attacchi da parte di altre civiltà) e da le tante risorse naturali.

I primi ritrovamenti risalgono al Paleolitico inferiore ed erano rudimentali selci scheggiate ritrovate nel sassarese a Perfugas.

La prime tracce dell’Uomo moderno risalgono a 20.000 anni fa e grazie agli scavi effettuati nella Grotta Corbeddu (presso Oliena), sono stati ritrovati pietre sbozzate e fossili umani. Al Mesolitico vengono datati i reperti della Grotta su Coloru a Laerru.

Nel Neolitico il popolo sardo ebbe un evolvere della propria civiltà, esso viene suddiviso in tre fasi:

  1. Su Carrappu (6.000 – 4.700 A.C.);

  2. Grotta Verde (4.700 – 4.300 A.C.);

  3. Filiestru (4.300 – 4000 A.C.).

I Sardi neolitici vivevano sia in villaggi che nelle grotte, praticavano la caccia e la pesca, allevavano bestiame e coltivavano cereali ed impararono la tessitura. Grazie ai giacimenti di ossidiana a Monte Arci e alla selce questi divennero il materiale più utilizzato mentre venivano lavorati per la prima volta il rame e l’argento. La prima e particolare costruzione riguarda l’Altare preistorico di Monte d’Accoddi.

monte_accoddi

e le prime rappresentazioni scultoree riguardavano statuine raffiguranti la Dea Madre 

grande madre

in cui venivano accentuate le forme del seno e del bacino. Risalenti a questo periodo sono le prime forme di architetture funerarie, tra cui le tombe a circolo comparse per la prima volta nel gallurese,

tombe a circolo

i Dolmen, diffusi in particolare al centro-nord,

Dolmen

e le Domus de Janas (case della fate o delle streghe), tombe ipogeiche scavate nella roccia che riproducevano l’intera struttura abitativa.

Domus de Janas

Nella fase finale del Neolitico, detta Calcolitico, si ebbe un incremento della metallurgia del rame (con il conseguente aumento delle armi), si susseguirono le culture di Abealzu-Filigosa, di Monte Claro e quella del Vaso campaniforme.

vaso campaniforme

Con il sopraggiungere dell’età Nuragica si diffondono i manufatti di bronzo, i pugnali si evolvono nelle prime spade, i dolmen a galleria si trasformano in tombe dei giganti e vengono costruiti i primi nuraghi (per avere altre informazioni sulla storia dei nuraghi cliccate qui). Secondo delle ipotesi avanzate dagli studiosi, in quel periodo l’Isola era molto popolata (queste ipotesi sono state fatte in base al numero di nuraghi e villaggi presenti nel territorio , che in quel periodo è di circa 5.000 costruzioni), si presuppone che la popolazione fosse di 245.000 unità anche se altri studi effettuati portano a pensare che i dati fossero diversi (si pensa ad un numero che varia tra le 400.000 e le 600.000 unità).

I Nuragici abitarono per oltre un millennio la Sardegna mantenendo contatti con le popolazioni micenee, cretesi, cipriote, etrusche e iberiche. Erano un popolo di guerrieri, pastori e contadini, suddivisi in piccoli nuclei tribali (clan), abili nella navigazione e nel lavorare le ceramiche.

Mentre le strutture religiose più importanti riguardavano i pozzi sacri.

Pozzo sacro

e i tempietti a megaron.

Tempietto a megaron

A proposito di pozzi sacri, inseguito agli studi effettuati da Arnod Lebeuf sul pozzo di Santa Cristina

Santa Cristina

si dedusse che i nuragici fossero degli abili astronomi. Lebeuf arrivò a questa conclusione perchè solo una conoscenza astronomica molto approfondita poteva rendere possibile il disegno e la costruzione dell’osservatorio, il cui progetto è stato pianificato punto per punto prima di scavare sulla roccia.

Nel periodo che varia tra il X e l’VIII secolo a.C. la Civiltà Nuragica era al massimo del suo splendore. In questo periodo giunsero in Sardegna i Fenici, non come popolo invasore ma come mercanti. Essi si integrarono nei villaggi nuragici costieri e portano nuove tecnologie, stili di vita e diedero un notevole impulso al commercio sardo.

Nel VI secolo a.C i Nuragici furono costretti ad una ritirata nelle zone interne all’isola inseguito all’invasione da parte dei Cartaginesi. Nonostante ci fu un opposizione ed una resistenza fiera agli invasori (ci fu un primo tentativo di conquista guidato da Malco che fu sventato dalla resistenza nuragica composta da città stato sarde-fenice), i Cartaginesi riuscirono a soggiogare i sardi. Ampliarono le preesistenti città costiere, facendo forse di Tharros la capitale della provincia, e ne edificarono delle nuove (Olbia, Cornus e Neapolis), proibirono al coltivazione degli alberi da frutto a favore della sola cerealicoltura. Importanti testimonianze di questo periodo fenicio-punico si ricorda la necropoli sul colle Tuvixeddu (a Cagliari)

Necropoli_di_Tuvixeddu

mentre a Sulki (odierna Sant’Antioco) si trova il tophet più grande trovato fino ad adesso.

tophet-sant-antioco

La dominazione cartaginese durò fino al 238 a.C, anno in cui i romani vinsero la Prima Guerra Punica. I romani non ebbero vita facile in Sardegna, per lungo tempo ci furono degli attriti con i Nuragici. Famosa fu la rivolta guidata dal sardo-punico Amsicora che nonostante l’alleanza con i Nuragici, perse nella battaglia di Cornus.

Con il passare del tempo gli attriti tra romani e Nuragici diminuirono e ci fu una certa integrazione da parte di quest’ultimi.

Karalis divenne la nuova capitale della provincia e grazie all’intervento dei romani la città crebbe e venne arricchita con nuovi monumenti (l’esempio più notevole è l’anfiteatro).

anfiteatro romano di cagliari

Nel nord dell’isola venne fondato il porto di Turris Libisonis (l’odierna Porto Torres) mentre la cittadina cartaginese di Olbia venne arricchita con piazze, acquedotti e complessi termali. Oltretutto i Romani dotarono l’isola di una rete stradale che mise in comunicazione i centri settentrionali con quelli meridionali. Presso l’attuale Fordongianus venne fondato Forum Traiani, che divenne il principale centro militare isola e che nel I secolo d.C fu dotato di un complesso termale.

Terme di Fordongianus

La Sardegna entrò a fare parte delle provincie granaio (insieme a Sicilia e all’Egitto), mentre per quanto riguarda l’eredità culturale del periodo romano fu molto importante la nascita della lingua sarda, di ceppo neolatino, composta da numerosi dialetti.

Dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente, la Sardegna rimase per settantasette anni sotto il dominio dei Vandali. Le cose cambiarono quando nel 534 d.C passarono al potere i Bizantini.

A causa del papa Gregorio Magno, che portò avanti l’opera di evangelizzazione nella Barbagia, per anni i Barbarigini rimasero riluttanti ed ebbero dei problemi con i Bizantini. Solo con il passare del tempo il legame tra l’isola e Bisanzio si fece più forte e, nonostante l’invasione italica dei Longobardi, la Sardegna rimase Bizantina. La principale influenza che ebbero i Bizantini sulla Sardegna fu di carattere religioso ed il loro dominio durò fino al IX secolo.

Di seguito al periodo bizantino i Sardi diedero un nuovo assetto politico all’Isola dividendola in quattro Giudicati indipendenti sia all’esterno che tra loro. I giudicati erano quelli di Torres-Logudoro, di Calari, di Gallura e di Arborea ed erano retti da un giudice (judike o zuighe in sardo, judex in latino), dotato di potere di sovrano. Amministravano un territorio, chiamato logu, suddiviso in curatorie.

curatorie

formate da più villaggi, retti da capi chiamati majores.

Tra il 1015-16 gli arabi, sotto la guida di Mujāhid al-Āmirī di Denia tentarono di conquistare la Sardegna, il tentativo fallì grazie all’aiuto delle flotte di Genova e Pisa. In questo periodo si instaurò un rapporto tra la Sardegna e le repubbliche marinare che portò la giudicessa-reggente Eleonora d’Arborea, nel 1395, ad emanare la Carta de Logu.

carta de logu

La Carta comprendeva un codice civile ed uno rurale (complessivamente 198 capitoli), e segnava una tappa fondamentale verso i diritti d’uguaglianza. Questo insieme di leggi rimase in vigore fino al 1827.

Nel periodo che varia dal 1282 al 1372 si avviò una serie di guerre in Sicilia, chiamate “guerre del Vespro. Per risolvere questa contesa, che vedeva l’uno contro l’altro Angioini e Aragonesi, il Papa Bonifacio VIII istituì (nel 1297) il Regnum Sardiniae et Corsicae. I regno fu realizzato territorialmente 26 anni dopo, nel 1324, quando il re Giacomo II sconfisse i Pisani nella battaglia di Lucocisterna, incamerandone i territori appartenuti alla Repubblica di Pisa.

Per oltre novant’anni fu soggetta ad una lunga e rovinosa guerra in cui i giudici del Regno di Arborea non rinunciarono mai al sogno di unificare l’Isola sotto la loro bandiera. Di seguito alla sconfitta subita nella battaglia di Sanluri

la battaglia di sanluri

gli Arborensi si ritirarono ad Oristano (la loro capitale) per difendere le ultime terre che gli erano rimaste, arrendendosi nel marzo del 1410.

Nonostante la società si stava distaccando dai miti e dalle tradizioni medievali, avviandosi verso il Rinascimento, la Sardegna non sentì questi cambiamenti e durante l’occupazione aragonese passò uno dei peggiori periodi storici in cui la società isolana regredì verso un nuovo e più buio medioevo. Le cause erano dovute alle continue guerre tra gli aragonesi ed i arborensi, di angherie e monopolio esclusivo di ogni potere instaurato a proprio favore dai catalano-aragonesi e poi dagli spagnoli.

Attraverso varie fasi, la storia del Regno sardo percorre l’ultimo periodo del Medioevo sotto la Corona d’Aragona e di Spagna poi, passando dopo la Guerra di successione spagnola, il Trattato di Utrecht, quello di Londra, e dell’Aia, alla dinastia Savoia nel 1720, per poi giungere alla sua conclusione tra il 1847 (Unione Perfetta con gli stati di terraferma) e il 1861, con la proclamazione del Regno d’Italia.

A cavallo fra Ottocento e Novecento la Sardegna era afflitta da gravi problemi di sotto sviluppo economico e sociale, passati in secondo piano in seguito all’Unità d’Italia. Questi problemi, per il neo governo italiano, apparivano insormontabili tanto da abbandonare l’isola a se stessa. In Sardegna analfabetismo, povertà, economia inesistente, epidemie e malaria la facevano da padroni. Nonostante i deputati sardi portarono in Parlamento tutte le problematiche, non venne mai dato loro ascolto, e le loro richieste caddero nel nulla. Il malcontento che si creò portò alla formazione di rivolte popolari, accompagnate dal fenomeno del banditismo che venne represso nel 1899 con un duro intervento militare.

Nell’età giolittiana le condizioni socio-economiche sarde non migliorarono e diversi artisti e scrittori come Sebastiano Satta, Francesco Ciusa e Grazie Deledda evidenziarono nei loro testi questo critico momento sardo. Lo stesso Antonio Gramsci, che in quel periodo era uno studente che studiava a Cagliari, davanti alle sofferenze dei lavoratori e alle feroci repressioni che seguivano alle rivolte, ricordava in una lettera della sua convinzione di lottare per l’indipendenza nazionale della regione. Diverse idee rivoluzionarie scossero l’intera Isola e fu Attilio Deffenu colui che diede vita ad un ampio movimento anti-protezionista. L’idea di Deffenu era quella di riunire tutte le forze socialiste, radicali e cattoliche in modo da portare fuori l’Isola dal sottosviluppo e creare dei nuovi rapporti tra la Sardegna ed il Governo centrale.

Nel 1913 fondò un Gruppo d’azione insieme a Nicolò Fancello e nel manifesto che venne pubblicato in quell’occasione si sosteneva che “ l’abolizione del protezionismo è condizione indispensabile per l’elevazione economica della Sardegna”. Mentre il movimento prendeva largo, l’Italia fu coinvolta dalla guerra.

Durante la Prima Guerra Mondiale 100.000 sardi su una popolazione di appena 853.000 furono arruolati nel 151° e 152° Reggimento fanteria di Sassari, mentre 13.600 morirono o rimasero feriti combattendo come unità d’élite nei punti più critici del fronte di guerra.

La guerra fu un utile espediente per maturare un esaltante esperienza collettiva, infatti, i sardi che tornarono dalla guerra diedero inizio ad ampi dibattiti ed iniziative, avanzando proposte di autonomia per la Sardegna. La speranza era quella di risolvere il malcontento isolano, di seguito a queste iniziative nacquero nuovi movimenti politici e tra i più importanti ci fu il Partito Sardo d’Azione. Fondato il 17 aprile del 1921 da Emilio Lussu, usava come simbolo lo stemma dei Quattro Mori e l’dea era quella di ottenere l’autonomia dell’isola.

A causa delle politiche fasciste che dalla fine della Prima Guerra mondiale coinvolsero l’Italia, tutti i gruppi politici che si erano formati furono sciolti. Fu così che nel 1926 il Partito Sardo d’Azione venne sciolto e lo stesso Lussu venne arrestato.

Nel 1924 venne emanata la “Legge del Miliardo” che stanziava un miliardo di lire per lo sviluppo della Sardegna. Furono realizzate infrastrutture e opere pubbliche (strade, ospedali, ferrovie, porti ecc.), vennero avviate opere di bonifica di numerose paludi (in particolare nella Nurra e nella piana di Terralba) e fu incentivata la politica di autarchia. Vennero fondate la città mineraria di Carbonia e quelle agricole di Arborea (al tempo chiamata Mussoliana) e Fertilia.

Durante la Seconda guerra Mondiale l‘Isola svolse il ruolo di “portaerei nel mediterraneo”, essendo l’Italia priva di tali navi, suvendo pesanti bombardamenti da parte degli Alleati. Dopo l’8 settembre 1943i soldati tedeschi vennero evacuati attraverso la Corsica, e la Sardegna, col resto del mezzogiorno, diventò parte del Regno del Sud, rimanendo sotto il controllo dell’esercito americano fino alla fine delle ostilità.

Al termine della Seconda guerra Mondiale, insieme alla Costituzione repubblicana, venne prolungato lo Statuto Speciale di Autonomia.

Grazie alla Fondazione Rockefeller venne eliminata completamente la malaria, ed inseguito all’affermarsi della politica dei Piani di Rinascita vennero prese misure legislative speciali per il finanziamento dell’industrializzazione della Sardegna (a Porto Torres, Ottana, Portovesme e Sarroch), vennero applicate politiche di infrastrutturazione e abitative.

Oltretutto diversi ettari di territorio sardo vennero usati per l’installazione di basi militari, questo fu un fenomeno legato alle vicende della guerra fredda e all’alleanza con la NATO.

Delle piaghe diverse dalla povertà, dalle malattie e da tutti i problemi socio-economici che hanno per anni influenzato l’isola sono state un tema caratteristico della Sardegna che scomparvero (in parte) solo negli anni novanta. Queste piaghe furono la siccità, gli incendi ed i sequestri di persona. Col passare degli anni e arrivando ai giorni nostri, la Sardegna si è confermata per tantissimi aspetti positivi che coinvolsero il territorio. Le città di Cagliari, Porto Torres, Olbia e Alghero si sono confermate per la loro importanza per quanto riguarda i punti di riferimento (sia via mare che via aerea) per poter arrivare all’isola fino a giungere ad una delle mete più conosciute a livello italiano e internazionale, la Costa Smeralda.

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Fonti/link utili: focus 

I sardi

Wikipedia 

La mia Sardegna 

Tophet Sant’Antioco 

Carta de Logu 

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